Errore nella compilazione dell'istanza di patrocinio a spese dello stato (Cass. pen., 19287/14)

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 9 maggio 2014, n. 19287

L'errore determinato da colpa può scriminare dal reato di cui all'art. 95 TU 115/2002.

 

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 9 maggio 2014, n. 19287

Presidente Romis – Relatore Dovere

 

Ritenuto di fatto

 

1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina propone ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale M.A. è stato mandato assolto dal reato di cui all'art. 95 TU 115/2002 per la inoffensività della condotta, consistita nel dichiarare ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato un reddito pari ad euro 9750,00 in luogo di quello accertato di euro 11502,00.

Per il ricorrente la sentenza impugnata presenta vizio motivazionale, in quanto pur a fronte di una giurisprudenza di legittimità che ritiene integrato il reato anche in caso di falsità che non pregiudicano l'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio, il giudice ha omesso di esplicitare le ragioni per le quali respinge tale giurisprudenza. L'ammontare del reddito non dichiarato preclude la possibilità di ritenere l'assenza dei dolo.

Deduce, altresì, violazione di legge, non potendo dirsi modesta una somma quale quella non dichiarata.

 

Considerato in diritto

 

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Non erra il ricorrente quando rimarca che l'orientamento affermatosi con la pronuncia Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008 - dep. 16/02/2009, Infanti, Rv. 242152 è nel senso che integrano il delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.

Ne consegue che l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, per la quale è inoffensiva l'omessa dichiarazione di poco meno di duemila euro di reddito, in presenza della indicazione di un reddito pari a 9.750 euro, risulta erronea. Il reato in parola, infatti, è di pericolo (rispetto al bene giuridico della pubblica fede) e pertanto la sua offensività/inoffensività si misura in rapporto non già alla misura della divergenza tra il dato reale e quello dichiarato bensì alla luce della idoneità della falsità o dell'omissione (e pertanto dell'intera condotta) ad indurre in errore il magistrato prima di decidere in merito all'istanza (così SU n. 6591/2008, in motivazione).

2.2. Va tuttavia ritenuto che le censure del ricorrente, sia pur fondate quanto al giudizio espresso dal giudice in tema di elemento oggettivo del reato, non siano in grado di travolgere la decisione impugnata nel suo complesso. Ciò in quanto la motivazione impugnata risulta non manifestamente illogica e conforme ai principi di diritto quanto al giudizio in ordine all'attribuzione soggettiva del reato.

Il giudice territoriale, infatti, ha esplicato che il reddito dichiarato dall'imputato risulta corrispondente a quello indicato dalla certificazione ISEE e che tale circostanza, valutata congiuntamente alla condizione di cittadino extracomunitario del M., mina la tesi accusatoria che prospetta l'esistenza del dolo, introducendo la ragionevole possibilità che l'imputato sia incorso in errore determinato da colpa.

A simile argomentazione il ricorrente non muove decisiva censura, limitandosi ad evocare la verosimiglianza di un errore per l'ipotesi che la discrasia sia contenuta in poche decine di euro e l'impossibilità di invocare funditus la disciplina dell'errore scusabile, come delineata dalla giurisprudenza costituzionale. Ovvero utilizzando argomenti che non incidono sul nucleo della motivazione resa sul punto dal giudice.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/2/2014.