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Astensione 24 - 26 maggio 2016
Astensione 24-26 maggio 2016: prescrizione, intercettazioni, processo a distanza, trojan.
Contro una riforma asimmetrica del processo
Astensione nazionale dei penalisti, contro una riforma asistematica del processo, contro lo slogan “prescrizione più lunga e processi più brevi”, un ossimoro per coprire le carenze organizzative che portano oltre il 70% dei processi a prescriversi nel corso delle indagini preliminari, contro una riforma della prescrizione che non accorcia, ma allunga i tempi del processo, violando la presunzione di innocenza, il diritto alla vita degli imputati. Contro la attuale normativa in tema di intercettazioni del tutto insufficiente a garantire la riservatezza delle comunicazioni di coloro che occasionalmente (o indirettamente) vengano intercettati, e per la distruzione delle intercettazioni irrilevanti ai fini della “prova del reato”. Contro ogni ulteriore estensione del “processo a distanza” ai processi penali con detenuti,. Per ribadire la critica agli strumenti del “doppio binario”, del regime speciale del 41 bis ord. pen. e dell’art. 146 bis att. c.p.p. Contro l’interpretazione delle norme, processuali e sostanziali, in materia di misure cautelari reali ed in materia di utilizzo degli strumenti di captazione intrusivi. Contro questa nuova pericolosa spinta autoritaria, ispirata e alimentata da vari settori della magistratura che alimentano il conflitto aperto dalla Magistratura associata nei confronti della Politica, che deve preservare la propria indipendenza dalla magistratura e sottrarsi, con eguale autorevolezza ed autonomia, alla azione condizionante del populismo. Astensione per far sentire la voce dei penalisti a sostegno dell’autonomia del Legislatore, per ricordargli il suo vincolo ai valori della Costituzione, ed il legame indissolubile dei principi del contraddittorio, dell’immediatezza, del giusto processo e della ragionevole durata, con la libertà di tutti e con la vita della nostra stessa democrazia.
GIUNTA DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE
Delibera 7 maggio 2016
La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane,
PREMESSO
- che in un momento nel quale giunge ai suoi esiti il disegno governativo di riforma del processo, l’avvocatura penale non può non far sentire la sua voce forte e responsabile denunciando ancora una volta i rischi di una riforma asistematica, condizionata da una perdurante campagna di disinformazione su quelli che sono i reali problemi del processo, e quelli che potrebbero essere i suoi rimedi;
- che ad onta della proclamata intenzione di “rafforzare” le garanzie difensive, accanto ad alcune apprezzabili modifiche, la riforma ha introdotto (attraverso l’innesto di emendamenti governativi) elementi fortemente distorsivi del modello accusatorio, segno questo, ancora una volta, di un approccio privo di una complessiva idea di processo fondata su di una consapevole e autonoma analisi valoriale circa i principi fondanti del processo penale;
- che nel lungo iter legislativo, iniziato già nell’estate del 2014, si sono sviluppate interlocuzioni efficaci e proficue che hanno certamente indotto il Legislatore a rinunciare alla introduzione di inutili e pericolosi istituti e a rivisitare alcune modifiche del sistema processuale che ne avrebbero certamente ulteriormente mortificato i già assai precari equilibri, respingendo molte delle proposte di riforma direttamente avanzate dalla Magistratura, associata e non, e da quest’ultima fatte oggetto di pressante campagna mediatica;
- che l’originario disegno di riforma si è andato nel corso di questi anni ampliando e distorcendo a causa di incidentali vicende mediatico-processuali, attraverso il parallelo intervento di decretazioni d’urgenza, incidenti in maniera assai rilevante sui reati contro la Pubblica Amministrazione, ed attraverso il sommarsi di ulteriori progetti in materia di intercettazioni e soprattutto attraverso la pressante e corale richiesta di allungamento – ritenuto pregiudiziale ed urgente - dei termini di prescrizione;
- che tali ipotesi di riforma si sono andate sviluppando e sovrapponendo secondo cadenze spesso parossistiche, con l’elaborazione strumentale di analisi e proiezioni del tutto scollate dalla realtà fattuale e dai dati statistici prodotti dal Ministero della Giustizia nel corso di questi ultimi mesi, e dallo stesso Ministro della Giustizia, proprio in coincidenza con la adozione della presente Delibera, laddove è stato confermato come oltre il 70% dei processi si prescriva nel corso delle indagini preliminari (nel pieno controllo del Pubblico Ministero ed al riparo da possibili manovre dilatorie (!) della difesa), e come in realtà il problema della prescrizione sia interamente da addebitarsi a carenze organizzative;
- che lo slogan che corre in questi giorni, “prescrizione più lunga e processi più brevi”, è evidentemente un ossimoro, in quanto un termine nega l’altro: più la prescrizione si allunga più i tempi dei processi saranno destinati ad allungarsi, secondo una evidenza inconfutabile della quale vasti settori della politica e dell’informazione non si avvedono, o fingono di non avvedersi, lasciando che una simile riforma della prescrizione, fondata su di un irragionevole allungamento dei termini prescrizionali, si risolva in una vera e propria “legge truffa”;
- che questa campagna di disinformazione e di inganno nasconde dunque i veri problemi del processo, mistifica le responsabilità dei ritardi e delle inefficienze del sistema processuale e finge uno schieramento manicheo dove dalla parte del bene stanno tutti coloro che vogliono allungare la prescrizione, dalla parte del male coloro che vi si oppongono;
- che occorre, pertanto, ribadire che allungare la prescrizione non accorcia, ma allunga i tempi del processo, viola la presunzione di innocenza, il diritto alla vita degli imputati, e mostra infine un totale disprezzo dell’interesse della collettività a conoscere nei tempi più brevi se un imputato è colpevole o innocente;
- che è necessario, infine, svelare l’uso della prescrizione come un sapiente strumento attraverso il quale la magistratura determina il fenomeno, lo distribuisce lungo il percorso processuale, lo dosa e lo utilizza al fine di ribadire la sua libera ed irresponsabile gestione dei tempi del processo, dell’esercizio dell’azione penale, e della durata effettiva dell’indagine, dislocando nella fase esplosiva delle misure cautelari o del clamore mediatico della iscrizione di un indagato eccellente il focus del processo, annegandone poi gli esiti incerti, e tutto sommato mediaticamente irrilevanti, del futuro controllo dibattimentale, con ciò esercitando un potere incondizionato sul processo (e dunque sulla società), insofferente ad ogni controllo, e facendo quotidianamente della prescrizione un uso surrettizio e strumentale, facendo di quest’ultima la “cifra occulta” di una incontrollata ed arbitraria discrezionalità dell’azione penale;
- che quanto alla Delega conferita al Governo in materia di intercettazioni, occorre rilevare, ancora una volta, come si debba agire e vigilare affinché siano effettivamente garantite le prerogative connesse alla tutela della funzione difensiva ed alla conseguente “non conoscibilità” in radice del contenuto delle comunicazioni fra l’assistito ed il proprio difensore (che in alcun modo può essere equiparato ad un “interlocutore occasionale”), dovendosi pertanto garantire, al di là dei divieti di verbalizzazione e dei rimedi sanzionatori della inutilizzabilità, l’originaria interdizione dell’ascolto e la esclusione di ogni possibile “filtro” volto alla ricognizione dei relativi contenuti da parte della Polizia Giudiziaria e del Pubblico Ministero;
- che con riferimento alla regolamentazione dello “stralcio” delle intercettazioni, deve sottolinearsi come la attuale normativa risulti del tutto insufficiente a garantire la riservatezza delle comunicazioni di coloro che occasionalmente (o indirettamente) vengano intercettati, nonché la distruzione delle intercettazioni irrilevanti ai fini della “prova del reato” (e non a generici “fini di giustizia”), per cui si ribadisce la assoluta necessità di prevedere più efficaci strumenti che impediscano la violazione di tale diritto e la indeclinabile esigenza che vengano previste modalità tali che, pur garantendo le ulteriori esigenze procedimentali ed investigative, non sottraggano in alcun modo il relativo giudizio di irrilevanza al necessario e fisiologico contraddittorio delle parti;
- che occorre impedire ogni ulteriore estensione del “processo a distanza” ai processi penali con detenuti, prodotto del lavoro della “Commissione Gratteri”, la cui complessiva ispirazione e le cui proposte di riforma del processo penale sono state più volte oggetto di severissima critica da parte dell’Unione delle Camere Penali Italiane, per l’impronta autoritaria e tecnocratica che le contraddistinguevano, evitando che si porti a compimento lo snaturamento del processo attraverso una pericolosa adozione di criteri meramente efficientistici che appaiono del tutto estranei alla natura democratica e liberale del modello accusatorio, ed in manifesta contraddizione con i già richiamati principi costituzionali e convenzionali del giusto ed equo processo;
- che tali progetti di riforma denunciano la logica esclusivamente securitaria che viene surrettiziamente utilizzata al fine di mantenere e di estendere normative eccezionali e straordinarie, per cui appare necessario ribadire, con rinnovata forza e convinzione, la critica agli strumenti del “doppio binario”, del regime speciale del 41 bis ord. pen. e dell’art. 146 bis att. c.p.p., che risultano manifestamente contrari ai suddetti principi ed utilizzati al di fuori di effettive esigenze di sicurezza e di contenimento della pericolosità e nel disprezzo della umanità del processo e della dignità delle persone;
- che simili logiche vengono ancora perseguite, da parte della magistratura, attraverso una interpretazione delle norme, processuali e sostanziali, che di fatto mortifica la funzione difensiva e le garanzie processuali, così come è di recente avvenuto, oltre che nel campo delle misure di prevenzione, con le sentenze delle Sezioni Unite in materia di misure cautelari reali ed in materia di utilizzo degli strumenti di captazione intrusivi, dimenticando che i valori sottesi alle limitazioni all’ablazione del patrimonio e alla compressione del diritto alla riservatezza, che appartengono al fondamento di ogni democrazia, non dovrebbero essere sacrificati ai criteri di una presunta efficienza repressiva;
- che con riferimento all’utilizzazione degli strumenti captativi (cd. Trojan) l’intrinseca efficienza di tale strumento investigativo è stata, infatti, collocata al centro del procedimento ermeneutico, piegando alla sua micidiale invasività l’intero sistema processuale, dimenticando non solo i valori della Costituzione, ma tradendone il significato più alto, in virtù del quale al centro stanno i diritti e le garanzie e ad essi vanno parametrati i limiti e le modalità di utilizzo degli strumenti dell’investigazione;
- che l’installazione di simili “captatori informatici” all’interno di “dispositivi elettronici portatili”, come ad es., personal computer, tablet, smartphone, ecc., allargando a dismisura ed in maniera davvero pericolosa gli ambiti di utilizzazione di simili strumenti di captazione intrusivi, ubiqui ed onnivori, non può non richiamare alla mente gli angoscianti scenari orwelliani di una collettività che, nel segno della lotta alla criminalità, può essere sottoposta, senza limite e senza filtro alcuno, ad un controllo tecnologico divoratore di ogni garanzia e di ogni diritto individuale;
- che occorre contrastare questa nuova pericolosa spinta autoritaria, ispirata e alimentata da vari settori della magistratura, osservando come, anche sul piano legislativo, sia in atto un’opera di complessiva semplificazione dell’utilizzo dello strumento intercettativo che va evidentemente a confluire nella medesima logica di ridimensionamento delle garanzie della persona, mentre l’utilizzo, sempre più pervasivo, di strumenti tecnologici ed investigativi così incontrollabili dovrebbe imporre un innalzamento delle garanzie e la predisposizione di una normativa severa e rigorosa atta a ricondurne l’uso nell’ambito delle garanzie costituzionali a tutela dei diritti di ogni cittadino;
- che in un momento di transizione epocale quale è quello che stiamo attraversando, il conflitto aperto dalla Magistratura associata nei confronti della Politica sembra ripercorrere un’idea dei rapporti fra poteri dello Stato in una mera logica di supremazia, tanto superata quanto pericolosa, dimenticando del tutto che il tema centrale della contemporaneità è piuttosto quello di operare un riequilibrio dei singoli poteri ed una complessiva ridefinizione del significato dei diritti individuali, del ruolo del giudice e del processo, riflettendo piuttosto sul fatto che la complessiva perdita di senso delle garanzie e del principio di legalità, perseguita con pervicacia dalla magistratura, priva a sua volta di senso la stessa figura del giudice;
- che la Politica deve quindi ribadire con forza, in questo delicatissimo momento di transizione, non solo la propria indipendenza dalla magistratura e da ogni forma di possibile condizionamento da parte di quest’ultima, ma deve anche sottrarsi, con eguale autorevolezza ed autonomia, alla azione condizionante del populismo, sfuggendo alla banalità dei luoghi comuni, alle letture demagogiche ed alle prospettazioni semplicistiche e tutte strumentali dei problemi del processo penale, affrontando il tema delle riforme con gli strumenti dell’analisi razionale e nel rispetto del modello dell’equo e giusto processo, aprendo alle prospettive di riforma ordinamentale volte alla realizzazione della terzietà del giudice, quale inderogabile e necessaria condizione per la realizzazione di tale modello;
- che, mentre la Politica si accinge, dunque, a compiere scelte di straordinario impegno, che non rilevano solo sulla configurazione futura del processo penale, ma anche sui destini di fondamentali principi democratici, occorre affermare che né il processo, né i diritti dei cittadini possono essere merce di scambio di alcuna contesa di potere, e tanto meno delle pressioni e dei condizionamenti indebiti di chi appartiene ad altri ordini dello Stato, facendo sentire la voce dell’intera avvocatura a sostegno dell’autonomia del Legislatore, per ricordargli il suo vincolo ai valori della Costituzione, ed il legame indissolubile dei principi del contraddittorio, dell’immediatezza, del giusto processo e della ragionevole durata, con la libertà di tutti e con la vita della nostra stessa democrazia;
DELIBERA
nel rispetto del Codice di Autoregolamentazione, l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale degli avvocati penalisti nei giorni 24, 25, 26 maggio 2016, invitando le Camere Penali territoriali ad organizzare nei giorni 24 e 26 maggio 2016 manifestazioni ed eventi dedicati ai diversi temi della riforma del processo penale indicati nella presente Delibera, fissando in Roma una manifestazione Nazionale per il giorno 25 maggio 2016.
DISPONE
la trasmissione della presente delibera al Presidente della Repubblica, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, ai capi degli uffici giudiziari.
Treviso - Roma, 7 maggio 2016
Il Presidente
Avv. Beniamino Migliucci
Il Segretario
Avv. Francesco Petrelli
Pubblicato il 10/05/2016