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Fotografie, diritto di cronaca e diffamazione
Cassazione, Sez. V Penale, Sentenza 11 ottobre 2011 - 30 gennaio 2012, N. 3721
Costituisce diffamazione pubblicare a corredo di un articolo riguardante la sicurezza una fotografia di un terzo con la didascalia "una questuante all’opera nel centro storico di Trento".
1.1. Con sentenza emessa in data 31 gennaio 2011 il Gip presso il tribunale di Trento ha dichiarato non doversi procedere perché il fatto non sussiste contro P.B. ed E. S. imputati, nelle rispettive qualità di direttore del giornale Qui Trento il primo ed autore dell’articolo I trentini e il pacchetto sicurezza il secondo, del delitto di diffamazione in danno di C. C., per avere pubblicato a corredo del suddetto articolo una fotografia della parte lesa con la didascalia una questuante all’opera nel centro storico di Trento.
Il giudice, in particolare, osservava che nell’articolo erano riportate le reazioni ed i commenti di alcuni cittadini, pure loro rappresentati fotograficamente, sulla idoneità del c.d. pacchetto sicurezza e delle ronde con tale legge istituite a prevenire ed a scoraggiare vari fenomeni, quali la prostituzione, il vandalismo e l’accattonaggio diffuso e che nessuna valenza diffamatoria, tenuto conto del tenore dell’articolo, poteva riconoscersi alla rappresentazione fotografica della C. C.
2.1. Con il ricorso per cassazione la parte civile C. C. deduceva il vizio di motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa in relazione alla non ritenuta valenza diffamatoria dell’accostamento della fotografia al testo dell’articolo. In particolare la ricorrente censurava la equiparazione della foto della C. alle altre fotografie – poliziotti e cittadini -, posto che la C. era l’unica delle persone ritratte a rappresentare il problema che il pacchetto sicurezza avrebbe voluto affrontare. Appariva poi contraddittorio escludere la valenza diffamatoria dell’accostamento della fotografia al testo dell’articolo nel quale, tra l’altro, si parlava di accattonaggio diffuso legato anche ad organizzazioni criminali. Infine la ricorrente si doleva che fosse stata omessa la valutazione del bilanciamento dei diritti costituzionali della tutela dell’onore e della dignità della persona e del diritto di cronaca, sotto tale profilo ravvisava anche una violazione della continenza espositiva, potendo la fotografia anche essere pubblicata sgranata in modo da non rendere riconoscibile la persona raffigurata.
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4.1. I motivi posti a sostegno del ricorso proposto dalla parte civile C. C. sono fondati.
Appare in primo luogo discutibile la regula iuris utilizzata dal giudice per pervenire ad una sentenza di proscioglimento ex art. 425 cod. proc. pen..
Ed, infatti, nel caso di specie risultano certe tanto la verificazione del fatto reato, sotto il profilo della sua materialità, quanto la sua attribuibilità agli imputati sotto il profilo del rapporto causale.
In siffatta situazione è difficile pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere perché il giudice, anche dopo la eliminazione del qualificato evidente –art. 1 l. 8 aprile 1993, n. 105 – dal testo dell’art. 425 cod. proc. pen., può pronunciare una tale sentenza soltanto quando gli elementi rivelatori della insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale e dell’estraneità dell’imputato emergono dagli atti in modo incontrovertibile, sicché essi devono essere verificati per constatazione e non già a seguito di apprezzamenti, caratterizzanti invece il giudizio di merito (vedi Cass., 5 novembre 1997, ANPP 98, 241).
Insomma le scelte tra le varie possibili ed alternative soluzioni vanno riservate al libero convincimento del giudice del dibattimento, in esito all’effettivo contraddittorio delle parti (Cass., Sez. I 21 aprile – 17 maggio 1997, n. 2875).
Si può, quindi, affermare che soltanto una valutazione di assoluta inutilità del dibattimento può legittimare una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen. (Cass., Sez. V, 15 maggio – 3 giugno 2009, n. 22864, CED 244202).
Dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che il giudice di primo grado non ha rispettato i principi dinanzi enunciati perché in una situazione processuale ove sarebbero state ben possibili scelte del tutto diverse ha compiuto valutazioni, peraltro non sorrette, come meglio si dirà, da una motivazione immune da vizi logici, che sarebbe stato corretto demandare al giudice del dibattimento.
4.2. Che la situazione del mendicante, del questuante o dell'accattone, che dir si voglia, anche se i termini non sono perfetti sinonimi, non sia, per usare un eufemismo, delle più piacevoli è fuori dubbio.
La coscienza comune pone questi soggetti in uno dei gradini più bassi della c.d. scala sociale ed è allora naturale che chi sia costretto dalla necessità a praticare la mendicità e venga additato come tale si sentirà mortificato e gravemente ferito nella sua onorabilità.
Negare la oggettiva valenza diffamatoria dell'essere indicata come una questuante all’opera non appare, invero, possibile.
4.3. Che l'articolo del giornale in discussione avesse lo scopo di raccogliere le prime valutazioni dei cittadini sul c.d. pacchetto sicurezza e sulla introduzione delle ronde è circostanza pacifica che emerge con chiarezza dalla impostazione e stesura del pezzo.
Richiamare l'attenzione del lettore anche con fotografie a corredo di un pezzo è pratica diffusa e spesso utile perché lettori di oggi sono particolarmente catturati dalle immagini visive.
Quindi è stato perfettamente lecito mostrare le fotografie dei vari partecipanti al dibattito giornalistico. come sostenuto dalla sentenza impugnata.
Diverso discorso avrebbe, però, dovuto essere fatto per la pubblicazione della fotografia della parte civile, che è l 'unica persona in effige che non ha partecipato al dibattito giornalistico.
Non è. invero, logicamente sostenibile che la fotografia della parte civile sia per così dire neutra e che sia servita soltanto a richiamare l’attenzione su uno dei problemi trattati nell’articolo.
Nell’articolo si spiegava, invero, che il pacchetto sicurezza serviva per combattere l’accattonaggio, la diffusione del nomadismo, la prostituzione, i vandali e più oltre si precisava che dietro l’accattonaggio ci era (sia) una organizzazione malavitosa le cui fila sono tenute fuori provincia.
Il giudizio fortemente negativo sul fenomeno dell'accattonaggio, che è da combattere, secondo il giornalista, anche perché collegato ad una organizzazione malavitosa, appare in tutta la sua evidenza.
Ed allora la fotografia della C., indicata come questuante all’opera. posta a corredo dell'articolo non può essere considerala neutra, dal momento che il lettore è portato ad identificare la persona rappresentata con uno dei mali da combattere - l'accattonaggio diffuso e l'ipotizzato collegamento con ambienti malavitosi - ed uno dei problemi da eliminare per garantire una pacifica vita cittadina.
4.4. Anche il raffronto, compiuto nella sentenza impugnata sul presupposto che anche nei confronti delle forze dell'ordine era stato espresso un giudizio di inadeguatezza ed insufficienza, tra la pubblicazione della fotografia della parte civile e di quelle di un carabiniere e di un poliziotto appare incongruo ed illogico.
II giudizio sui rappresentanti delle forze dell'ordine non è affatto negativo; anzi si reclama una maggiore presenza degli stessi per fronteggiare i vari fenomeni ritenuti negativi.
Ciò che si contesta è che l'organizzazione complessiva, che non dipende certo dal singolo poliziotto, delle varie polizie presenta insufficienze; non vi è alcuna lesione della onorabilità dei poliziotti, ma una semplice critica rivolta ai dirigenti del servizio.
Del tutto diverso è il discorso sulla fotografia della C. che, accostata ai ritenuti gravi fenomeni descritti, viene utilizzata come emblema dei mali della Città: !a valenza diffamatoria della operazione risulta, allora, evidente.
4.5. Da quanto detto emerge anche un’altra contraddizione della motivazione impugnata perché il giudice, dopo avere riportato il contenuto dell'articolo e spiegato che si discuteva, tra l'altro, di accattonaggio, ed avere sottolineato che la fotografia della parte lesa mostrava una questuante all'opera, ha sostenuto che l’immagine della persona offesa non era (è) associata ad atti di ... ... accattonaggio diffuso ... .ovvero ad organizzazioni malavitose.
Ed, invece. come si già spiegato, proprio l'accostamento tra la fotografia della parte lesa ed il testo dell'articolo contiene una forte carica diffamatoria perché induce il lettore ad individuare la C. come emblema del disordine cittadino e come accattona forse anche legata ad ambienti malavitosi.
4.6. Infine non si può non rilevare che anche il requisito della continenza non sia stato rispettato nel caso di specie.
Solitamente, infatti, quando per esigenze di cronaca si mostrano immagini di persone in qualche modo coinvolte in fenomeni sui quali grava un pesante giudizio negativo della collettività - vicende criminali, prostituzione, accattonaggio ecc. ecc. - al fine di evitare che si crei un preciso collegamento tra un fenomeno generale ed una specifica ed individuabile persona fisica ed evitare, quindi, la conseguente inevitabile ed inutile carica di disdoro personale, si usa sgranare, o comunque coprire, l'immagine del volto della persona ritratta per renderla non identificabile.
Trattasi di pratica corretta improntata al dovuto rispetto che si deve alle persone: l'inosservanza di siffatte cautele e la non necessaria, ai fini della comprensione dell’articolo, rappresentazione di tutti tratti flsiognomici della persona raffigurata comporta una censurabile incontinenza espressiva.
Un tale rispetto non è stato per nulla considerato e valutato nella sentenza impugnata.
5.1. Il mancato rispetto delle regole di giudizio ex art. 425 cod. proc. pen. ed i vizi motivazionali indicati impongono l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Bolzano per nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Bolzano per nuovo esame.