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Reato associativo transanzionale
Cass. pen., sez. V 21-01-2011 (15-12-2010), n. 1937 - Pres. CALABRESE Renato Luigi - Est. AMATO Alfonso - D.A. (massima 1) RV249099
REATO - Circostanze - Aggravanti in genere - Circostanza - Reato associativo - Compatibilità - Esclusione - FattispecieLa circostanza aggravante prevista, per il reato transnazionale, dall'art. 4 della L. 16 marzo 2006, n. 146, non è compatibile con il reato associativo - nella specie "ex" art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 - ma può accedere ai reati costituenti la diretta manifestazione dell'attività del gruppo criminale organizzato, ossia ai cosiddetti reati fine dell'associazione ovvero ai reati alla cui realizzazione il gruppo abbia fornito un contributo causale. (Annulla senza rinvio, App. Trento, 17 luglio 2009)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Gup del Tribunale di Trento, all'esito di rito abbreviato, condannava D.E., D.S., P.E., V. M., I.A., P.S., G.E., De.
A. per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, con l'aggravante L. n. 146 del 2006, ex art. 4; Di.Go., Di.Dr. e R.B. per il reato ex art. 73, l. stup..
La Corte d'Appello assolveva dall'imputazione associativa De. e P., da quella ex art. 73 (relativamente ad un capo di imputazione) Da.Ar. e P., escludeva l'aggravante di cui al comma terzo e rideterminava la pena per alcuni imputati.
Costoro ricorrono tramite i rispettivi difensori.
1) V. lamenta vizio di motivazione circa l'associazione, l'aggravante L. n. 146 del 2006, ex art. 4 (che sarebbe incompatibile con l'addebito associativo) e l'entità della pena.
2) De. deduce vizio di motivazione sul diniego della attenuante di cui all'art. 73, comma 7, l. stup., essendo stata erroneamente ritenuta preclusa dalla scelta del rito speciale l'acquisizione documentale proposta, ed al diniego di prevalenza delle generiche.
3) per G.E. si denuncia vizio di motivazione in riferimento all'interpretazione del linguaggio criptico adoperato dai loquenti nelle conversazioni telefoniche intercettate; circa il reato sub 3), poichè le dichiarazioni di De., compiute dopo l'ammissione del rito speciale, sono inutilizzabili; circa l'aggravante ex art. 80, comma 2, non essendo appagante la definizione "esorbitante" riferita ad un quantitativo di kg 23,5. 4) P. reitera in primo luogo l'eccezione di incompetenza territoriale; deduce, poi vizio motivazionale: V. lo ha incontrato solo due volte, consegnandogli denaro e non droga; è stata travisata la telefonata 1.3.06, n. 85 (centrata sulla espressione "ok") e sono stati fraintesi gli importi percepiti.
La corte di merito, infine, non avrebbe dato riscontro alle censure formulate con riferimento al capo 6 dell'imputazione.
Il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e) infirmerebbe pure la sussistenza dell'aggravante della "ingente quantità", il diniego delle generiche e la confisca dei beni adottata nei suoi confronti.
Erroneamente, da ultimo, la corte trentina ha ritenuto di non dover giudicare l'episodio per il quale dovrebbe procedere l'autorità croata, così esponendo l'imputato ad altra condanna.
5-6) Di.Go. e Di.Dr. (condannati per il delitto ex art. 73 l. stup., in riferimento a due capi l'una, un capo l'altro) lamentano l'erronea lettura delle intercettazioni telefoniche: il chiamante H.I. non conosce il luogo di residenza dei coniugi Di., che ricevono un pacco, come accade sovente agli immigrati.
Non è stato accertato se l'imputata avesse in uso realmente l'utenza cellulare (OMISSIS), elemento stimato determinante dall'accusa.
Manca, del resto, la consapevolezza di partecipare ad attività delittuose.
7) R. solleva una serie di eccezioni in rito, già disattese dalla corte territoriale.
Nel merito, in ordine al capo 2, assume che non sussiste la prova dell'accordo con G. sul prezzo e sulla quantità di droga esitata.
Costituisce, poi, mero espediente logico la tesi della corte, quando assume che il ricorrente ha concorso moralmente nella condotta di illecita importazione (posta in essere da G.), dal momento che l'imputazione sub 2 è fattualmente identica a quelle rubricate sub nn. 1 e 3, per le quali è intervenuta pronuncia liberatoria.
8) I. reitera l'eccezione di incompetenza territoriale e si sofferma diffusamente sulla censura inerente l'ipotesi associativa e la qualifica di organizzatore, prendendo le mosse dalla prima sentenza, poichè il gup ha ritenuto sussistere la sola "superassociazione" formata da tre gruppi, non già quelle singole, costituite ciascuna da un gruppo (il primo ed il secondo di etnia albanese, il terzo di etnia slava).
L'assoluzione di P. vale a stabilire per tutti il principio per cui "se i sodali del primo gruppo non possono essere posti in relazione associativa con quelli dell'altro, non possono essere condannati per il reato associativo nella forma della superassociazione".
Il ricorrente contesta analiticamente gli indici rivelatori del sodalizio, così come della qualifica attribuita, che contraddice il vero ruolo di semplice esecutore di ordini altrui ed occasionale percettore di esigue somme di denaro, tanto da non essere conosciuto da De..
Da ultimo si formulano censure circa la sanzione, il diniego delle generiche, l'omologazione degli episodi delittuosi avvinti in continuazione e la diversità di trattamento rispetto ad alcuni coimputati.
9-10-11) D.A., Da.Ar. e P.E. denunciano la violazione delle norme sul giudice naturale in riferimento alla questione di competenza territoriale.
Per D.A. si lamenta che le contestazioni siano state valutate in maniera onnicomprensiva, senza le dovute articolazioni argomentative; per quelle inerenti gli altri due imputati ci si duole che la corte territoriale abbia richiamato genericamente le intercettazioni, "senza giustificazione atta a superare le doglianze difensive".
I ricorrenti censurano, ancora, il diniego delle generiche, l'aumento per l'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4, quella per la continuazione (per i fratelli D.), il trattamento sanzionatorio, il vistoso superamento del minimo edittale per P..
Per Da.Ar. si assume, infine, che l'aggravante di cui alla L. n. 146 del 2006, art. 4, non può essere applicavate, dal momento che la partecipazione, estesa dall'1 ottobre al 17.11.05 (data di commissione del reato sub 4) si è esaurita prima dell'entrata in vigore della norma in questione.
Sono pervenute memorie nell'interesse di I. (sulla ammissibilità dell'eccezione di incompetenza territoriale nel giudizio abbreviato, sul vizio di motivazione circa il ruolo di organizzatore e la pena inflitta) e P. (sull'aggravante di cui alla L. stup., art. 80, comma 2 ed il sequestro L. n. 356 del 1990, ex art. 12 sexies).
Ripetitive e pertanto generiche, e comunque infondate, sono tutte le eccezioni in rito, esaurientemente ed ineccepibilmente disattese dai giudici di merito.
L'ammissione del giudizio abbreviato preclude la proposizione dell'eccezione di incompetenza per territorio, anche se in precedenza dedotta e decisa in senso negativo (sez. 1^, 13.5.09, n. 22750, Calligaro). Ciò perchè l'imputato ha accettato di essere giudicato con un rito in cui manca il segmento processuale dedicato alla trattazione e risoluzione delle questioni preliminari (sez. 4^, 20.11.08, n. 2841, Greco ed altro, e pluribus). Donde la preclusione a far valere le nullità a regime intermedio attinenti agli atti propulsivi e introduttivi del rito, così come ad eccepire l'incompetenza per territorio.
Siffatto esito è giustificato da un implicito atto dispositivo dell'imputato, compiuto con la scelta del rito ad effetti premiali ed è pienamente compatibile con la natura relativa della nullità che consegue alla violazione delle norme che disciplinano la competenza territoriale.
Va disatteso, pertanto, il contrario orientamento espresso da talune pronunce di questa Corte (sez. 1, 10.6.04, n. 37156 La Perna; sez. 4^, 28.10.98, n. 4528, Generali ed altri; sez. 6^, 23.9.98, n. 13624, Vicentini), comunque minoritario.
Contrariamente all'assunto del G., va ribadito che nel giudizio abbreviato è ammissibile la richiesta dell'imputato di sottoporsi ad interrogatorio ai sensi dell'art. 421 c.p.p., comma 2, purchè sia avanzata prima dell'inizio della discussione, per non alterare le regole del contraddittorio in relazione agli elementi di difesa apportati dall'imputato, sui quali dev'essere ammessa la facoltà delle altre parti di prendere la parola (Cass. 7.11.01, Agosta).
Non hanno miglior fondamento le eccezioni proposte dal R., diffusamente smentite dalla Corte di merito.
Non pochi fra i ricorrenti lamentano il travisamento del significato delle conversazioni telefoniche intercettate. Orbene, la censura è inammissibile, nella misura in cui offre un'interpretazione alternativa della lettura delle intercettazioni stesse, compiuta dai giudici di merito con apprezzamento esente da vizi logici e giuridici.
L'opzione di una diversa lettura, infatti, comporta una diversa rielaborazione dei dati fattuali desunti dal compendio intercettivo, con una differente ricostruzione degli accadimenti storici. Donde il consolidato principio secondo cui l'interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni è questione di fatto rimessa al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, ove la relativa valutazione sia argomentata in conformità ai criteri di logica ed alle massime di esperienza.
Congruamente motivata è la qualifica di organizzatore attribuita a De. ed I., di cui viene rimarcato il dinamismo e l'attività di coordinamento degli associati al fine di conseguire gli scopi proposti dal sodalizio.
Nè rileva che talvolta l'organizzatore sia esecutore di ordini provenienti da soggetti gerarchicamente sovraordinati, esplicanti ruolo direttivo.
Insuperabili appaiono i rilievi argomentativi con i quali la Corte di Trento ha negato l'attenuante ipotizzata dalla L. Stup., art. 73, comma 7, a De., la cui doglianza concernente la mancata acquisizione documentale si rivela infondata, in ragione del rito prescelto.
Palesemente infondata appare anche la censura di G. e P. in ordine alla circostanza configurata dall'art. 80, comma 2, l. stup., attesa l'assorbente e condivisibile considerazione del dato ponderale, che riflette il sequestro di Kg. 23,5 di sostanza pura.
Vale rammentare in proposito che la circostanza in parola ricorre ogni qualvolta il quantitativo di sostanza oggetto di imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicodipendenti, secondo l'apprezzamento del giudice di merito.
(S.U. 21.9.2000, n. 17, Primavera ed altri, rv. 216666).
Non risponde al vero che la corte di merito non abbia dato riscontro alle censure difensive formulate da P. col gravame di merito, nè rileva ai fini decisionali che sia stato frainteso l'importo delle dazioni di denaro effettuate in occasione della consegna della sostanza (v. fatto sub 4).
Nè può addebitarsi all'organo giudicante se un episodio delittuoso non è stato contestato all'imputato, essendo lo stesso perseguibile dall'autorità della Croazia.
Legittima è la confisca disposta ex L. n. 356 del 1992, nel rispetto delle condizioni di legge consistenti nella mancata dimostrazione della lecita provenienza dei beni e nella netta sproporzione ravvisata dai giudici di merito fra il valore degli stessi e la capacità di reddito del prevenuto.
Quanto al R., appare specioso il rilievo mosso alla corte di aver operato un "escamotage logico" per il capo 2, poichè in difetto della prova del contributo materiale, ben può pregiarsi il profilo soggettivo dell'istigazione, esaurientemente argomentata con "l'assicurazione di poter smerciare la droga a poche ore di distanza dall'importazione." Rasentano la censura in punto di fatto le doglianze esposte per i coniugi Di., di cui si postula senza elementi di sorta la mancanza del dolo costitutivo del reato.
Analogamente è a dire per l'utenza cellulare attribuita legittimamente alla donna, sulla scorta delle risultanze di prova ritualmente utilizzate e non infirmabili in questa sede.
Specioso è il rilievo della difesa di I., che trae spunto dal difforme avviso palesato dai giudici di merito in ordine all'esistenza di una o più compagini associative.
Ed infatti la Corte d'Appello opera la sagace distinzione, senza contestare ed innovare la trama argomentativa e il decisum del primo giudice.
La distinzione, pertanto, compiuta fra gruppo (o associazione) egemone e gruppo "minore" è priva di rilievo effettuale e non conduce, come pretende la difesa ad alcun esito liberatorio, che anzi implica la possibilità di ravvisare una pluralità di contesti associativi, con le ovvie implicazioni negative per gli imputati (o per alcuni di essi).
Sono infondate (se non anche in fatto, nella misura in cui impingono alla discrezionalità del giudice di merito, il cui esercizio, tradotto in congrua motivazione, si sottrae al sindacato del giudice di legittimità) le doglianze inerenti il diniego delle generiche, della prevalenza delle stesse nell'ambito della comparazione delle circostanze e la determinazione della sanzione, anche a titolo di aumento per continuazione.
I rilievi critici esposti si scontrano con una motivazione attenta e perspicace, che non tralascia di considerare i dati fattuali costituenti il sostrato della valutazione compiuta al riguardo.
Fondata è, invece, la censura formulata da D.A., Da.
A., V. e I. in ordine all'esclusione dell'aggravante L. n. 146 del 2006, ex art. 4 con riferimento al reato associativo per il quale essi sono stati condannati.
Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante ad effetto speciale prevista dalla L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 4 è necessario un "quid pluris" rispetto al concorso di persone nel reato, richiedendosi l'esistenza di un "gruppo criminale organizzato" impegnato in attività criminali in più di uno Stato, che risulti composto da tre o più persone che agiscono al fine di commettere uno o più reati dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transazionale (sez. 6^, cc. 21.1.09, n. 7470, PM in proc. Columbo).
Una recente pronuncia della terza sezione di questa Corte (cc. 14.1.10, n. 10976, Zhu e altri) ha stabilito che tale aggravante è configurabile anche nel delitto di associazione per delinquere, allorchè del sodalizio criminoso facciano parte soggetti che operano in Paesi diversi.
E ciò è conforme alla "ratio" della legge che intende contrastare criminosa delle associazioni che operano sul piano transnazionale.
Ma il tenore letterale della norma in esame non sembra coonestare tale esito esegetico.
"Per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato la pena è aumentata da un terzo alla metà".
La circostanza presuppone l'esistenza del gruppo criminale organizzato e può accedere pertanto ai reati costituenti la diretta manifestazione dell'attività del gruppo (c.d. reati fine dell'associazione) ovvero di quelli ai quali il gruppo abbia prestato un contributo causale.
Il reato associativo, per contro, non è qualificato da tale elemento circostanziale, ove si consideri che l'associazione criminosa è la qualificazione giuridica del "gruppo criminale organizzato", speculare allo stesso, e non una proiezione esterna, un "quid pluris", cui il gruppo "abbia dato il suo contributo".
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, dunque, limitatamente all'aggravante in parola, nei confronti ricorrenti citati; con rinvio in ordine al trattamento sanzionatorio nei confronti degli stessi.
Vanno altresì rigettati gli altri ricorsi, con la condanna di ciascun ricorrente alle spese processuali.
P.T.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante L. n. 146 del 2006, ex art. 4 applicata al reato di cui all'art. 74 l. stup., aggravante che esclude nei confronti di D.A., Da.Ar., V.M. e I.A..
Rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Trento per la rideterminazione della pena.
Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti imputati.
Rigetta i ricorsi proposti dagli altri imputati e condanna ciascuno di essi al pagamento delle spese del procedimento.